“La sindrome di Down non è un mostro da combattere”.

Ricordo che lessi da qualche parte queste parole, pronunciate dai genitori di Pablo Pineda realizzato ragazzo spagnolo nato con la sindrome di Down. (qui trovate una sua interessante intervista)
Parole che comprendo e sostengo.
Non sono quel tipo di mamma che crede nella sindrome della figlia come a un dono di Dio, io non sono nemmeno credente, ma so per certo che in ognuno di noi c’è la possibilità di essere.
Essere un genitore responsabile (che a mio avviso ha il dovere di essere tale), che non si limita a vedere i tratti della trisomia 21, ma va oltre l’aspetto esteriore, va oltre il non saper fare del figlio, e innesca atteggiamenti che rimandano al nostro bambino quanto noi lo crediamo capace.

Non dico sia semplice… ma credo fermamente sia possibile!

In questi giorni abbiamo ricevuto la notizia che la luminosa educatrice di Emma è in dolce attesa.
Mentre me lo comunicava al telefono, ero entusiasta per lei, ma subito dopo la domanda: “un momento… il lavoro di educatrice è ritenuto a rischio, quindi cosa significa… che sta a casa da subito?
E’ così.
Ricomincia perciò la trafila per conoscere una nuova educatrice, che si spera sia altrettanto propositiva, per la classe e non esclusiva per Emma, non troppo assistenziale, non ansiosa, che conceda i giusti tempi, che crei un buon rapporto con l’equipe insegnanti dell’asilo.
Non poco direi.
Tanti pensieri si affollano, ma il più rumoroso è: e se non fosse la persona giusta per lei?
Cerco di scacciare la brutta sensazione e penso a come Emma sta vivendo, e al team di persone che le stanno accanto.
Penso a Vanda, la sua logopedista, e al suo credere in lei dal primo istante in cui è entrata nella sua stanza, e penso all’enorme positivo riverbero che questo suo atteggiamento ha creato in me.
Penso alle sue insegnanti, che anche se alla loro prima esperienza con una bambina dai bisogni speciali, stanno dimostrando di saper integrare Emma, non facendo preferitismi, concedendole i giusti spazi e tempi, riconoscendola come “bambina in divenire” (per dirla alla Aucouturier).
Penso alle compagne di classe, che invitano Emma ai loro compleanni, penso a Lorenzo, il figlio di 9 anni della mia amica Francesca, che vuole fare un regalo di onomastico per la giornata mondiale sulla sindrome di Down, penso alle persone a me vicine (e anche lontane) che non hanno bambini con difficoltà eppure sentono di avere occhi differenti da quando conoscono Emma.
Forse perchè non vivono la sua condizione come qualcosa da combattere?
Penso alle parole della psicologa-pedagogista presente all’incontro di equipe che afferma “troppo spesso si osserva e pesa ciò che il bambino non sa fare, piuttosto di quello che invece sa fare. Nemmeno ci si gira a guardare quanta strada si è fatta, e quanti traguardi si sono raggiunti. E questo vale per ogni bambino, con difficoltà oppure no“.
E rifletto.
E’ come se non ci si accontentasse mai e si volesse un bambino sempre più omologato alle nostre aspettative di genitore, cercando in tutti i modi di annullare quella condizione genetica.
Leggo di genitori che appena sentono parlare di farmaci miracolosi, addirittura di lassativi con effetti particolari, si informano su come somministrarli ai figli, o a chi richiederli.
E questo mi fa pensare.
Serve a migliorare la qualità di vita dei nostri bambini o serve a noi genitori, per mettere a tacere quel tarlo che parla di inadeguatezza?
Penso a quanto spesso un bambino viene etichettato, non compreso, negato perchè il modo in cui esprime il suo disagio viene definito sbagliato e inaccettabile. E a suon di sentirsi dire “capriccioso, sbagliato, terribile” quello diventa il suo unico modo per chiedere. Penso agli insegnanti delle elementari, che mi riferiscono un mal contento generale, perchè certi bambini non hanno più regole, e rispetto, e attenzione, e gioia di imparare.
Costa fatica entrare in sintonia, fatica psicologica e fisica. E’ un continuo farsi domande sul perchè della loro domanda mal formulata, che però può essere ritarata, e può avere una risposta che riconosce il bambino, e non lo nega.
E quando si innesca quel meccanismo basato sulla fiducia reciproca… ci si carica di luce.
Al di là della sindrome, al di là di ogni specifica caratteristica.
Mia figlia non è un pezzo di creta da plasmare a mio piacimento, non nego la sua condizione genetica ma la accetto come sua caratterisica personale, consapevole che può essere un’opportunità di crescita per me stessa e per chi le sta vicino.
Emma ha diritto alla sua originalità!

Se non puoi essere un pino sul monte,
sii una saggina nella valle,
ma sii la migliore piccola saggina
sulla sponda del ruscello.
Se non puoi essere un albero,
sii un cespuglio.
Se non puoi essere una via maestra
sii un sentiero.
Se non puoi essere il sole,
sii una stella.
Sii sempre il meglio
di ciò che sei.
Cerca di scoprire il disegno
che sei chiamato ad essere,
poi mettiti a realizzarlo nella vita.

Martin Luther King