La mia storia di mamma di una bambina dai bisogni speciali non è molto diversa da quella di molte altre mamme.

Ma sono convinta che leggere di altri che ci sono passati, che hanno provato quello che noi stessi abbiamo provato, nel bene e nel male, faccia guardare dentro, e ogni volta che lo si fa, i pensieri possono cambiare.
Io stessa a rileggere la mia storia mi commuovo, perchè il ricordo di quel dolore non è sparito, è mutato.  Ricordandolo, rivedo quanti passi abbiamo fatto insieme da quel giorno, passi a destra, in avanti, a sinistra, all’indietro, lunghe pause, e di nuovo avanti, seguendo una traiettoria che non è certo retta, ma è piuttosto a spirale.
E io associo la spirale all’evoluzione.

“Le mie gravidanze sono sempre state fortunate: niente nausea, aumento di peso contenuto, pochi mutamenti di umore. Dopo essere rimasta incinta di Tommaso tutte le mie convinzioni sul dover fare l’amniocentesi sono svanite:
il bimbo è mio, cresce in me e sarà di sicuro sano”.
Anche con Emma, la translucenza nucale/ultrascreen da come risultato “rischio basso”, i movimenti del feto li percepisco già dal quarto mese e nemmeno la morfologica da particolarmenti rilevanti.
Mi dicono “è una bambina, e si muove davvero tanto!”.
Certo che si muove, l’avverto nettamente, e con l’andar del tempo diventa quasi doloroso, tutto questo suo dimenarsi.
Tommaso mette la mano sul pancione e parla alla sua futura sorellina, le mostra i suoi giochi, e quando mi accompagna ad una visita rimane stupito nel vedere il visetto di Emma in un ecografia tridimensionale, dove si distinguono benissimo il naso, la bocca carnosa, le guanciotte.
“Mamma, Emma sembra fatta di formaggio fuso!”.
Rido a questa sua espressione tanto buffa, e sono al settimo cielo sentendo il cuoricino di Emma e tenendo la mano di Tommaso.

Io incinta di una bimba con sindrome di Down

L’11 febbraio io e mio marito Giovanni andiamo a prendere Tommaso in asilo, un po’ prima del solito, e con sua sorpresa, lo portiamo in Cansiglio, una località montana a noi vicina, a fare la merenda pomeridiana: un panino enorme con i sapori del bosco circostante. Lo mangiamo seduti in cima ad un cocuzzolo innevato, ci buttiamo nella neve alta, facciamo l’angelo guardando le nuvole in cielo, e sottolineiamo l’importanza di questi nostri momenti, che ci sarebbero sempre stati anche con una bimba in più in casa.

Una famiglia in attesa     Tommaso sibling
Il cambio Luna si avvicina, e io già so, da maggio scorso, che partorirò con il cambio di Luna, proprio come con Tommaso… tutto calcolato!
Sabato 13 febbraio Tommaso vuole dormire dai nonni, e io penso “perfetto!” perché so che quella notte andrò in ospedale a partorire Emma. La borsa è pronta, il mio ginecologo mi rassicura su alcune perdite, Giovanni riesce a liberarsi dagli impegni di lavoro… è tutto calcolato per davvero!
È tutto perfetto!
Bacio Tommaso, gli dico che è possibile che quella notte io entri in ospedale, e che quando ci rivedremo ci sarà Emma con noi… lui mi abbraccia stretto stretto e mi da il suo personale bacio di amore, dato con le labbra leggere leggere, senza quasi fare rumore.
Dopo un’ora mi si rompono le acque. Arrivo in ospedale alle 22.40, confermata rottura delle acque, mi danno la stanza ed io sto ancora bene, contrazioni di lieve entità.
Ore 0.20. Arrivano le contrazioni. Quelle vere. Ti pare di esserti dimenticata quel dolore, ma quando ti arrivano, di colpo te lo ricordi… quel dolore che ti taglia in due, che ti sovrasta quasi non rendendoti più capace di respirare correttamente. Ma la voglia di vedere quell’esserino che hai sognato per nove mesi ti fa resitere, ti da la forza, ancora un po’ di sofferenza… poi sarà solo gioia!
La mia ostetrica è un angelo: calma e premurosa, mi aiuta a respirare e mi convince a non fare l’epidurale “resisti ancora due contrazioni” mi dice, ma io non so se resisto, il male è insopportabile! Ma quando mi rivisita, con mio grande stupore, dice che in soli 3 minuti siamo arrivati alla giusta dilatazione. Guardo Giovanni “è ora!” e andiamo in sala parto.
Emma vuole conoscere i suoi genitori!
Poche spinte ed avverto la stessa sensazione provata con Tommaso, quella di aver partorito un polipo gelatinoso… chiudo gli occhi e gioisco pensando che non proverò mai più quel dolore!
Interruttore OFF.
Tutto passa.
Niente sangue. Niente punti.
Ed eccola Emma!
La mia creaturina… sul mio petto… com’è bruttina però!
Pazienza. Nemmeno Tommaso appena nato era bello.
Guardo Giovanni, che mi bacia e mi stringe felice. Ora può rilassarsi, e sorride e scherza con l’ostetrica, con le infermiere. E va orgoglioso a vestire per la prima volta la sua bambina.
Io mi sto rilassando, l’ostetrica si complimenta per la velocità del parto, un’ora e venti, e per come i miei tessuti hanno reagito, senza nemmeno dover intervenire con punti di sutura. Io l’abbraccio commossa, se non fosse stato per lei avrei fatto l’epidurale e di sicuro non ci avrei impiegato così poco tempo!
Che gioia! Non posso desiderare di meglio!
O forse posso?
Giovanni ritorna da me, e il suo sorriso è velato, o forse sparito del tutto. Gli chiedo cos’ha e lui mi risponde:
“quando Emma ha aperto gli occhi… mi ha quasi guardato… E i suoi occhi… i suoi occhi mi sono sembrati quelli dei bambini Down”.

Lama nel cuore.

Ma come se ne può uscire con un’idea tanto remota…  e tremenda? Lo rassicuro dicendo che lui, e qualcuno della sua famiglia, ha una particolare conformazione degli occhi, che ci abbiamo sempre tanto scherzato sopra, specie quando non riuscivo a mettergli le lenti a contatto! Ma mentre parlo, mi rendo conto che il tarlo è entrato. E quando mi portano Emma, scruto ogni millimetro del suo volto, per negare quell’ipotesi assurda.
Esci tarlo, vattene, io sono fortunata, unica, benedetta… questo non potrebbe capitare a me, a noi… NO!”.
Giovanni va a casa a riposare, e io vado con Emma in stanza Nido, perché è un po’ fredda, la guardo bene, e lei apre gli occhi, e in quel momento anche a me paiono proprio i tipici occhi della sindrome di Down.
“No… no… no!”.
Mi giro verso l’infermiera e con la voce rotta dal pianto le dico:
“Oddio ma ha davvero gli occhi dei bambini Down!” e lei sospira, triste… e abbassa lo sguardo.

Un’altra lama gelida nel cuore.

La dottoressa di turno mi sta vicina, dice che è presto per fare ipotesi, la morfologia facciale di un bimbo appena nato cambia molto nei primi 2 giorni, è meglio aspettare prima di fare qualsiasi ipotesi. Torno in stanza con lei, la provo ad attaccare al seno… e la guardo.
No, è impossibile, Giovanni si è inventato tutto!” e intanto lui a casa si tortura cercando informazioni su Internet.
Chiamo mia madre, “mamma, è davvero bruttina, e poi Giovanni dice che…” – “cosa dici, è impossibile!”.
Già, impossibile, ma l’SMS per annunciare la nascita di Emma lo scrivo senza lo slancio dovuto.
Il suo pianto poi, sembra costipato, parte in apnea e spinge fuori gli occhietti in modo impressionante… che viso strano ha!

La mia bimba con sindrome di down     La mia bimba con sindrome di down
Arrivano le visite, mia suocera mi porta addirittura l’album delle foto di mia cognata quando era bambina dove, con tanto di lente di ingrandimento, mi fa notare come anche gli occhi di Esther potessero trarre in inganno! In effetti è vero, ma Esther non ha la sindrome di Down, è un’infermiera capo sala, e Sonia, la mamma della mia figliastra, dice che Giovanni è pazzo a dirmi una cosa del genere, perché Emma non ha niente dei bambini con trisomia 21… e quindi ci stiamo sbalgliando: Emma è normale! (concedetemi il termine, lo usavo con una consapevolezza diversa.)
Ora è come se questa teoria campata in aria fosse finalmente stata spazzata via, perché in tanti mi dicono che non è vero…  e mi accontento, mi stringo a questa speranza, e mi preparo ad accogliere Tommaso e i miei genitori.
Tommaso, il mio bambino sano, perfetto, come potrei portargli a casa una sorellina non perfetta come lui?
Mia madre dice che esagero pensando a questa ipotesi, ma mio padre lo vedo che la scruta, con gli occhi velati di tristezza; mia zia l’abbraccia e se la coccola piangendo.
Mi aggrappo a Tommaso, lo guardo mentre prende in braccio la sua sorellina imperfetta, con una delicatezza commovente, le accarezza il viso, le scompiglia il ciuffo, e lui mormora:
mamma, la mia sorellina è bellissima!

allatto la mia bambina con sindrome di down
Un’altra notte in ospedale, fa caldo, Emma piange, il suo viso non si sgonfia, e a volte certe sue espressioni mi confermano la teoria di Giovanni… teoria che prontamente scaccio!
Poi Emma si attacca al seno, e per un momento, solo un momento, il tarlo esce, e mi lascia riposare qualche ora. Mi sveglia mio marito, con un messaggio sul cellulare che mi riporta alla realtà. E le sue parole sono piene di speranza e amore, come se non avesse bisogno di altre conferme.
Al mattino arriva la dottoressa che ci prepara alla visita con il dott. Primario del reparto, il quale scruta Emma, gli occhi, le orecchie, il naso, le mani, le dita dei piedi.  E poi ci fa accomodare in una stanzetta appartata e mette due sedie davanti a lui.

Ecco, questa è la conferma.

Mi sento risucchiare dal corpo, mi ritrovo sospesa fluttuante in quella stanza con un incredibile senso di irrealtà ed inadeguatezza, un peso insostenibile sui polmoni. Io sono seduta, Giovanni è alla mia destra in piedi, i dottori sono seduti di fronte a noi.
I dubbi che avete avuto su Emma sono fondati. Le sue caratteristiche fanno sospettare che abbia la sindrome di Down”.
Il tutto avviene al rallentatore: stringo la mano di mio marito, chiudo gli occhi, abbasso la testa e piango, in silenzio.
Io chiedo come è possibile che solo vedendola confermino la diagnosi, ma il dottore ci spiega che le caratteristiche estetiche sono tipiche. Poi continua dicendo che i bimbi con la sindrome di Down hanno tante potenzialità se stimolati nel modo giusto e soprattutto se amati come un qualsiasi altro bambino.
Io sto ancora pensando a noi, famiglia perfetta e ora imperfetta, e allora chiedo:
“E a me e mio marito, ora, che succederà? Non rideremo mai più”.
Lui dice che qualcuno si separa e qualcuno si rafforza, perché a volte un bambino speciale può unire ancora di più.

Down, down, down… ho una bambina down… mi rimbomba in testa.

Mi spiegano che spesso i bambini Down hanno problemi di cuore, quindi predispongono una visita cardio. Un’infermiera mi accompagna nel reparto di cardiologia, utilizzando un ascensore di servizio, sorride e mi da un ciuccio per Emma, ma è tutto di nuovo al rallentatore e surreale.
La dottoressa del reparto mi sorride, accarezza Emma e mi chiede il perché della visita.
Ha la sindrome di Down” mi sento pronunciare, e trattengo a stento le lacrime.
Il cuore è a posto. Meno male… o forse no? Forse è meglio che invece di problemi ne abbia, questo bambino imperfetto, così l’incubo finirà presto?
Ci danno mille consigli su come reagire, su gruppi di genitori che ci possono incontrare e spiegare la loro esperienza. Io voglio solo andarmene a casa! Stringere mio marito e mio figlio e questa bambina estranea, ma a casa mia. E piangere!
Resto abbracciata a mio marito per tutta la notte, agitata, piango, mi vengono crisi d’ansia e ringrazio di non essere sola in ospedale, ma lì insieme a lui. Tommaso dorme di là, nella sua nuova cameretta da fratellino maggiore, e mi da un po’ di senso di realtà, anche solo per un attimo.

“Come ho potuto partorire una bambina imperfetta? Che figlia ho dato a Giovanni? E a Tommaso… se solo non avessi voluto un altro figlio”.

Le faccio il bagno e le sue forme, la testa, il collo e i suoi occhi parlano della sua diversità, anzi, la gridano, eppure… eppure è così indifesa.

allatto la mia bambina con sindrome di down

La mia bambina con sindrome di down e suo fratello

La mia bambina con sindrome di down e suo fratello
Voglio incontrare qualche mamma come me, che mi rassicuri e mi faccia vedere la gioia della nascita di un bambino, comunque egli sia. E la mamma che incontro mi conferma di aver fatto i miei stessi orribili pensieri. Mi dice che col tempo non vedrò più i tratti della sindrome di Down, ma vedrò Emma, la mia bambina, desiderata, e che chiede una sola cosa:
essere amata.
Iniziano ad arrivare le visite a casa, tante e tante persone, anche persone a me lontane e che si dimostrano vicine. I miei più cari amici mi sostengono, mi coccolano, piangono con me. Con rispetto. E con lo spirito giusto, quello che sottintende “vedrai che andrà tutto bene”.

E qualcosa inizia a cambiare.


Le lacrime ci sono ancora, improvvise, ma meno frequenti, meno pesanti. Nel cuore sento entrare uno spiraglio di luce.
Torniamo in ospedale per la conferma della diagnosi, ma non ho nemmeno chiamato per avere il risultato che tardava, e questo mi da speranza, una rassegnazione positiva.
Emma ha la trisomia 21, libera ed omogenea.
Nemmeno la forma più lieve, a mosaico, ma libera, totale. Ridiscendono le lacrime.
Emma ha 10 giorni e incontro la mia pediatra per la visita di controllo. Lei è sempre tanto cara e disponibile, e mi dice “cara signora, si ricordi che lei è una mamma speciale…

“Ma lo sono davvero? Perché a me! Che incubo…”.

Il 1° marzo andiamo dall’oculista, per accertarsi che gli occhi di Emma non abbiano problemi di cataratta o altro, ma Emma dorme, dorme sempre, ed è impossibile svegliarla per metterle le gocce negli occhi. Provo a metterle un po’ di acqua fresca in viso, per infastidirla e farle aprire quei suoi occhi ma lei non li apre e non si sveglia.

E provo un nuovo sentimento.

Preoccupazione.

Torno in reparto Nido e pesandola risulta aver preso solo 10 grammi in 10 giorni.

E provo un altro sentimento.

Paura.

Per lei e la sua salute.
Le danno un biberon con latte artificiale e lei se lo scola in un attimo, e direi che le piace proprio! Giovanni sorride, e l’accarezza guardandola con uno sguardo, quel suo sguardo, che dedica solo a Tommaso, a Lia, e a me.
Il suo sguardo d’amore.  

La mia bambina con sindrome di down e suo papà
Mentre l’allatto la guardo, lei apre di più gli occhi, sempre quegli occhi, ma mi sto innamorando di lei, è indifesa, è arrivata così, senza nulla chiedere tranne che il nostro amore.

E inizio a guarire.

E a risalire dal fondo.

Tommaso le canta la ninna nanna, che sente ogni sera prima di addormentarsi e che pure Emma ha sentito per tutti i nove mesi che era in pancia. E la coccola. L’accarezza.

La mia bambina con sindrome di down e suo fratello

Dice che è la sua sorellina speciale e che i suoi occhietti sono bellissimi.

Ed Emma… oh… Emma sorride!

La mia bambina con sindrome di down
Un sorriso di beatitudine, quasi avesse sentito il fratello parlarle così dolcemente.
Quasi avesse sentito il cuore di sua madre fremere d’amore per lei.

Finalmente.

La mia bambina con sindrome di down