Blind hug significa abbraccio cieco.

E’ un abbraccio che si dona bendati, in mezzo alla folla, alla cieca. Cieco come le emozioni, che prendono forma in maniera quasi inaspettata, e anche se cerchi di guidarle, a volte il loro evolvere è … imprevedibile.
Sono arrivata a Venezia per il progetto Io abbraccio con il cuore insieme a Serena e al suo Diego, con un carico di emozioni che di sicuro avevano un nome: curiosità e gioia.
Perchè ciò che stavamo per fare era un po’ folle, e bellissimo nel suo significato.
A fianco di queste due emozioni però c’era un groviglio di sensazioni indefinite che sgomitavano tra loro, per avere il sopravvento una sull’altra, per aggiudicarsi un nome. A volte erano positive, a volte … non negative… piuttosto direi … stonate.
La piazza che si apre davanti alla Stazione dei treni di Venezia sarebbe stata perfetta per il nostro progetto, un continuo andirivieni di persone. Ma evidentemente, non eravamo pronte. Non ancora.
Ogni piccola calle (così si chiamano le viuzze di questa meravigliosa città) si affaccia su un campiello (le varie piazze), ma ognuno di essi non era adatto. Poca gente, troppo spazio, poco spazio, troppo vento.

Troppe di quelle sensazioni indefinite?

Mi sono ascoltata dentro, come spesso faccio quando mi sento troppo piena:
Ecco, lo sto per fare. Troverò un posto adatto, metterò il cartello a terra, mi benderò e … attenderò. Ma siamo sicuri? Riuscirò ad attendere? E la gente cosa dirà? Sentirò lo stesso i loro sguardi su di me? Sentirò i loro commenti? Che effetto mi faranno? E… se nessuno verrà ad abbracciarmi?
La gente… sempre la gente, il giudizio altrui, lo sguardo dell’Altro su di noi.
Pancia contratta.

Poi… eccolo, un campo perfetto su una via trafficata a lato, un canale, il vociare chiassoso dei gondolieri, una bellissima artista di strada canta una dolcissima canzone, una ragazza espone i suoi quadri dipinti ad acquarello.
Bene… non siamo nemmeno sole!
Ma… Chi inizia ad abbracciare?
Guardo Serena, il suo sguardo si perde nel mio e mi comunica mille parole che parlano dello stesso groviglio di sensazioni interne.
Vuoi iniziare tu?
E sono felice del suo “sì” non perchè sento ancora timore, ma perchè so bene quanto sia una prova anche per lei, questa potente esperienza…
E poi…
Boom.

Tutto ha inizio.

blind hug

La gente passa incuriosita, chi lancia sguardi fugaci, chi si sofferma, chi dice “oh regalano abbracci!”

Il suo primo abbraccio è infinito… guardo il suo viso, il movimento delle sue mani, la postura dei suoi piedi.

Potente. La sente la potenza di questa cosa.

Quando lui si stacca osservo le labbra di Serena, il suo sorriso multicolore, che in qualche modo è rimasto appiccicato al volto di quel bellissimo uomo. La sua ragazza prende uno dei segnalibri che doniamo a chi abbraccia, e lo so, è il loro aforisma, pescato tra più di 50 diverse frasi. Si guardano attorno in cerca di risposte, mi avvicino, e spiego, in preda all’emozione, cosa ci sia dietro a questo gesto, cos’è Guardaconilcuore.

Io e lei ci ritroviamo a guardarci con gli occhi umidi, sorridendo, con un grazie che ha in qualche modo il sapore di un arrivederci.

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Guardo i bambini, che si avvicinano timorosi e una volta abbracciato corrono verso i loro genitori come se avessero compiuto una meravigliosa impresa titanica.

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Guardo i colori delle persone che abbracciano, i loro avvicinarsi affrettato, la loro stretta fugace o il loro abbraccio fuso con Serena.

blind hug

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Ascolto le parole di un allegro gruppo di americani, osservo l’emozione negli occhi dei loro bambini, e mi avvicino anche a loro. Mi chiedono spiegazioni, e parlo di questo nostro progetto che ha un unico significato: donare un semplice gesto carico di significato, se i cuori si aprono all’ascolto.
Michelle ne è conquistata, e a sua volta mi fa un prezioso dono. Mi racconta che suo marito è polinesiano, e che il loro saluto è ben diverso dal nostro, non limitato ad un augurio sul resto della giornata, ma ben più simile all’energia che un abbraccio crea: i Maori si salutano l’un l’altro con i nasi pressati, e la tradizione ritiene che in questo modo si condivida il respiro della vita avvicinando l’uomo agli dei.

Con questa immagine in mente… entro.

blind hug

Sì perchè mettere una benda sugli occhi, togliendo uno dei sensi che più facilmente classifica, stima, giudica, categorizza, ti permette di entrare in una bolla. Ed è una bolla che acutizza tutti gli altri canali sensoriali, solitamente più sopiti rispetto alla vista.

Ascolto.

Le parole dette in tante lingue diverse attorno a me, il rumore delle ruote delle valigie, che scandiscono una sorta di ritmo sulla pavimentazione a pietre tipica di Venezia, il vento sulla mia giacca, i passi di chi si ferma.

E poi… arriva.

Improvviso. Indescrivibile.

blind hug

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E il simbolo della bolla non vale solo per l’acutizzarsi di altri sensi, ma perchè ogni abbraccio è davvero racchiuso in una bolla a se, un piccolo universo senza tempo in quel breve spazio di incontro. 

Ogni avvicinarsi, lento o di corsa, ogni aggiustamento delle braccia nelle braccia dell’altro, ogni piccola parola sussurrata… eccomi… dove sei stata fino ad ora… non voglio andare via… vorrei più momenti così… ogni silenzio, ogni fremito, ogni lacrima, ogni piccolo enorme interminabile momento mi hanno scosso il cuore.

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Come dice Serena

Sai, non sai mai come va, come ti puoi sentire, cosa o quanto gli altri ti possono e vogliono dare. Beh, io ho ancora davanti aglii occhi (anche se di fatto non vedevo) il primo abbraccio, il profumo, la dolcezza, e le mille parole dette con i cuori in quei sessanta secondi di silenzio. E così con quelli a seguire. Sentire le braccia di persone sconosciute che non ti vogliono lasciare, i mille grazie per un gesto reputato da molti scontato e banale, la commozione, le lacrime, il lasciarsi andare così, senza nessuna programmazione…

In stazione ci siamo in effetti ritornate, perchè volevamo vivere ancora quei magici abbracci, questa volta insieme, quegli abbracci che ormai ci avevano dato una sorta di positiva dipendenza… oh se si libera ossitocina in quei contatti!

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Un’ora passava veloce quanto 10 minuti.
La frase ora andiamo faceva nascere l’esigenza di un altro ultimo duraturo contatto.
Abbiamo sentito pronunciare, specie da qualche bambino, “ma si paga?” o addirittura, da qualche adulto, “pensa cosa si inventano per tirare su soldi”.
Nella scatola degli aforismi abbiamo trovato 20 euro in monetine, lasciate soprattutto da stranieri.
Forse il nostro cartellone bilingue lasciava spazio a qualche dubbio, ma la cosa che più mi ha stupito è che fosse così inconsueto credere nella possibilità di dare qualcosa senza nulla chiedere in cambio.
Dare semplicemente per il piacere di farlo, ben consapevole che fosse uno scambio.

Il video qui sotto vuole mostrare 4 minuti e mezzo di quanta emozione è passata nel nostro blind hug donato ai passanti di Venezia, in una ventosa e calda domenica di aprile.
Cosa ci ha spinto a farlo?
Il cuore, naturalmente, che sempre, sempre e sempre è alla ricerca di Emozioni per un suo ben-stare.

blind hug

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(mettete pausa alla plaulist musicale a fondo pagina per ascoltare il video)