Ieri, mentre parlavo con un’amica che non vedevo da tanto tempo, mi ha divertito vedere come rimanesse stupita da tutte le cose che vedeva fare ad Emma, perchè nell’immaginario comune dovrebbe fare un decimo di ciò che fa.
La mia amica quasi si scusava per quello stupore, ma giustamente se non conosci, se non hai visivamente esempi di persone con trisomia 21, ciò che ti viene alla mente è lo stereotipo tramandato da chissà chi, che richiama principalmente un aggettivo: incapace.
Io le sorridevo, dicendole che anch’io prima che nascesse Emma ero vittima di quel pensiero limitante, e mi sono dovuta ricredere, giorno dopo giorno, tanto da stravolgere quella parola, incapace, in capace, anzi, capacissima!
Ma c’è un sottile filo che limita quelle due parole, e siamo noi a decidere se superare l’uno o l’altro, attraverso un semplice ma allo stesso difficilissimo modo di porsi al bambino: credendoci!

Ed è grazie a questo sentirsi creduto nelle proprie capacità che il bambino sperimenta…

La mia bambina con sindrome di down

Strategia creativa Nr. 1
Regola della casa: una volta rientrati da scuola e asilo ci si lava le mani, lo stesso vale prima di pranzo e cena.
Io: Tommy, lava le mani che è pronta la cena.
Tommy: uffa (sbuffamenti vari perchè stava guardando il suo cartone in tv)… vaaa beeeeneee! Ma me le lavo qui in cucina.
Io: va bene.
Emma: Emma… mani!
Io: Emma vieni, te le sciacquo anche a te qui dal lavabo in cucina.
Emma: no, bagno.
Io: va bene, aspetta, è buio, ti accompagno perchè non arrivi ad accendere la luce in bagno (uhhhh blablabla…. ok è un dato di fatto che non raggiunga l’interruttore dove è posto in bagno, ma il messaggio è non sei capace senza di me)
Emma: (mi guarda seria per un momento, poi dal primo gradino delle scale che portano di sopra, si volta verso il muro e accende l’interruttore di quelle luci, che a porta aperta del bagno lo illuminano per bene) Ecco, luce! (e sale le scale)
Le sento aprire la porta, aprire l’acqua del bidet, richiudere l’acqua, riscendere le scale, e riarrivata sul primo scalino, spegne la luce, e si gira trionfante verso di noi dicendo: ecco fatto.. mani!
Io e Giovanni ci guardiamo con tanto d’occhi, con una scusa saliamo di sopra e vediamo che ha riposto l’asciugamano al suo posto, e anche richiuso quasi del tutto la porta scorrevole (altrimenti esce il caldo, come dice mio marito!)
Di sicuro ha usato il sapone intimo piuttosto di quello per le mani, che ha un dosatore piuttosto duro per le sue mani di polenta, e l’asciugamano non era certo piegato (e meno maleeee!) come nel film “a letto con il nemico” con Julia Roberts (dove il marito mezzo maniaco piegava asciumani in maniera ossessiva, tutti alla stessa altezza), ma cosa importa?
Aveva fatto tutto in autonomia.
Alla facciaccia nostra!

Strategia creativa Nr. 2
Regola della casa: ognuno dorme nel proprio letto (ma giustamente… perchè mamma e papà dormono insieme?)
Il nostro rituale serale, ora che Emma si addormenta da sola, senza più che noi restiamo con lei finchè dorme, è fatto di fiabe,  ninnenanne e coccole. Emma e Tommaso, che sono molto legati, spesso vogliono vivere insieme questo rituale, quindi il letto prescelto è quello di Emma, poi Tommaso la sbaciucchia e va nel suo.
Ma da 10 giorni a questa parte Emma vuole ritrovare questo gran piacere di accoccolarsi al fratello, e verso le 4 del mattino si alza e cerca di andare in camera sua.
Dico “cerca” perchè noi la riportiamo in camera sua, in quanto temo (sì, io lo temo, forse perchè io non riesco a dormire bene con i bambini?) che Tommaso non dormirebbe bene, dovendosi poi alzare presto per la scuola.
Emma procede così: si alza, accende la luce del corridoio, apre la porta di Tommaso, sale le scale e si intrufola a letto con lui.
Quindi noi ci svegliamo (più che altro perchè quella porta fa un certo rumore), la recuperiamo e la riportiamo a letto.
Ma l’altra sera, la nostra piccola escapista, ha adottato uno stratagemma…
Si alza, accende la luce, apre la porta, (e io mi sveglio) LA RICHIUDE, SPEGNE LA LUCE, (!) e sale le scale sghignazzando (come per dire STAVOLTA VE L’HO FATTA!).
Io e Giova ci alziamo, ma trovando porta chiusa e luce spenta non siamo sicuri che lei sia andata dal fratello, ma la sentiamo ridere,  magari è scesa in cucina… no, lì non c’è.
Saliamo in camera di Tommy, che sta dormendo profondamente, ed Emma è accando al suo letto che gli dice:
Dada… hai sonno?
Ridendo a nostra volta la riportiamo nel suo letto, spiegandole il perchè.
La notte successiva, più o meno alla stessa ora, si rialza e riprova la strategia.
C’è da dire che la porta (che ha un vetro centrale) della camera di Tommaso è situata all’inizio delle scale, quindi è ben difficile chiuderla essendo su uno scalino, perchè serve sporgersi, oltretutto è un po’ in pendenza e quindi non sta mai socchiusa ma sempre spalancata. Giovanni si alza e nascosto la osserva sporgersi in avanti, afferrare con le dita la parte della cornice del vetro più vicina a sé, e pian piano tirarla verso di lei.
E visto che il giorno dopo Tommaso non sarebbe andato a scuola, stavolta le abbiamo lasciato portare a termine la missione!
Al mattino, entrambi sono venuti nel lettone, dicendo di aver dormito benissimo insieme!
Alla facciaccia nostra!

E così la nostra bambina con sindrome di Down di quasi 4 anni ci ha spiegato il significato di problem solving (locuzione inglese che può essere tradotta in italiano come risoluzione di un problema):un’attività del pensiero che un organismo o un dispositivo di intelligenza artificiale mettono in atto per raggiungere una condizione desiderata a partire da una condizione data.

Alla ri-facciaccia nostra!