Organizzare un trasloco non è mai semplice.
Specie se chi lo organizza ha una cattiva gestione del tempo.
Specie se lo devi terminare in un mese.
Specie se di mezzo hai altri 2 grandi progetti, come l’organizzare il programma per il gruppo genitori alla settimana estiva del dottor Lagati di fine agosto, e lo scrivere la tesi di fine 3° anno di studi in pratica psicomotoria Aucouturier.
Specie se la casa che stai per lasciare, per quanto piccola, con un solo bagno, parla di noi in ogni angolo, in ogni colore del muro, in ogni pianta pensata e piantata nel nostro magico giardino.
Specie se questo grande cambiamento è proprio a ridosso dell’inizio della scuola… anzi, l’ingresso alla scuola primaria per Emma.
Specie se Tommaso, alla notizia che ci trasferiremo, piange perchè questa è casa sua.
Ma a volte le scelte devono essere fatte.
Causa forza maggiore.
Perchè è bene che la visione della casa sia lungimirante, e non nel suo uso immediato.
La mia amica Ashley, che ha appena lasciato l’Italia per trasferirsi in America per un anno, un solo anno, e poi spostarsi ancora, mi ha detto:
“when you focus on problems you will have more problems. When you focus on possibilities you’ll have more opportunities”
“quando ti concentri sui problemi avrai più problemi, quando ti concentri sulle possibilità, avrai più opportunità.”

Opportunità…

La casa dove mi trasferirò, anzi, dove ritornerò, in quanto ci ho vissuto fino ai miei 15 anni, di opportunità ne nasconde molte, grazie a spazi al suo interno e soprattutto al suo esterno.
La sto iniziando a vedere come una nuova tappa di un percorso che stiamo scrivendo ogni giorno.
Una sorta di nuovo luogo sul quale lasciare la nostra personale colorata impronta.

Ieri, in soffitta, mentre cercavo, con mia notevole difficoltà, di assecondare mia madre che vagliava le miriadi di lenzuola, asciugamani, presine per la cucina, “che ti potrebbero tornare utili… metti che le rompi” (…), sono scesa a prendere un po’ d’aria.
Ho respirato per cercare di mandare giù il fastidio che provavo nel vedere mia madre così in difficoltà a liberarsi di semplici cose, che è vero che parlano di affetti, ma sono pur sempre cose!
E non è lo stesso per me?
Per questa difficoltà che sento a lasciare una casa nella quale siamo diventati famiglia?
Ho guardato i miei bambini, scalzi, nel campo, con in mano un arco e una freccia e un bastone per fare le magie. Ho visto il viso di Tommaso, che non era più a disagio in quel posto, ma carico di nuove espressioni sognanti su come inventare nuovi giochi in un nuovo posto.
Ho sentito Emma dirgli “andiamo nella mia camera con le margherite sul muro a saltare sul letto“.
E guardandomi attorno, mi sono sentita come Ryan, il leone del film d’animazione “Uno zoo in fuga”, che dopo anni di vita in cattività, una volta ritornato nel suo ambiente, riacquista il suo fiuto di cacciatore in un susseguirsi di immagini colorate.
Ho visto dove mettere la mia antica fontana ritrovata scavando, il colore da usare sulla costruzione-garage, dove far attecchire la vite canadese, in che posto posizionare il mio nuovo laghetto, dove posizionare il piano di legno, tra i rami del nocciolo, per creare una piccola casa.
Ho respirato.
Sono andata fino in fondo al campo, lì dove mio padre e Tommaso hanno costruito, nello scendere del bosco, la scala delle fate, con gli scalini fatti di terra, lo scorrimano in legno legato con lo spago.
Mi sono appoggiata ad un albero, ad annusare il profumo del bosco, ad ascoltare il canto dei numerosissimi uccelli.
Bambini. Laboratori estivi. Ragazzi con disabilità.
Opportunità.
O meglio… sogni.
E per un momento, mi sono sentita a casa.

Nuovamente.