Ho ripensato all’uso del termine mongoloide in questi giorni.

L’occasione me l’ha data un commento ad un video di Emma da parte di un utente sul canale youtube di Guardaconilcuore.

Non l’ho reputata usata in modo offensivo, e per questo ho risposto a F. (purtroppo a volte capitano commenti con tutt’altro tono) ritrovandomi davvero a produrre pensieri sull’uso di certi termini.
Mongoloide.
Ad ogni mamma di un bambino nato con la sindrome di Down questo termine ferisce come una lama.
Perchè?
Perchè identifica l’intera persona con caratteristiche negative. Riporta ad un passato scuro e chiuso, dove la persona nata con sindrome di Down non veniva accettata come individuo con particolari caratteristiche e risorse, bensì come portatore di gravi difficoltà cognitive e inalterabili stereotipi.

Il dizionario del corriere.it, seconda voce in prima pagina di ricerca alla voce, cita:
mongoloide
[mon-go-lòi-de] agg., s.
• agg.
1 med. Denominazione comune, ma in disuso nel campo scientifico, di chi è affetto (affetto…!) da sindrome di Down; anche, di ciò che la caratterizza: faccia m.
2 antrop. Caratteristico di gruppo umano mongolo che presenta brachicefalia, capelli diritti, naso leggermente largo, pelle giallastra, occhi a mandorla: occhi m.

Fortunatamente il tanto consultato wikipedia, alla stessa ricerca, pone l’attenzione del significato del termine sulla tipologia umana mongoloide, ossia alla popolazione di origine asiatica. Sottolinea inoltre la sua disambiguazione, ossia i problemi di ambiguità tra voci dedicate a soggetti con nomi scritti allo stesso modo, che possono creare confusione nella ricerca. Dirige perciò la ricerca verso la voce sindrome di Down.

L’utente F. al mio commento che il termine da lui usato è vecchio e oramai offensivo, mi da la sua opinione, che davvero mi stimola a produrre pensieri:

Ma io dico: se una cosa é quadrata la si definisce quadrata, anche se gli angoli non piacciono. Non é un termine dispregiativo, é un termine che indica chi é affetto dalla sindrome down. Cercare di addolcire le cose usando termini più carini non le cambia mica. É come dire obeso ad uno di.180 kg,mica é un’ offesa?

Rispondo in questo modo:

Come da tua citazione, il termine è in disuso in campo scientifico. Inoltre non si usa più dire “affetto da”, più legato a malattie che hanno un decorso, ma piuttosto “ha la”, o “nato con”, proprio per sottolineare una condizione genetica che perdura per tutta la vita. Le parole usate in senso medico hanno un peso e un’evoluzione. Ti faccio un esempio: la quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, strumento diagnostico per disturbi mentali più utilizzato da medici e psichiatri di tutto il mondo, sostituisce il termine ritardo mentale con quello di disabilità intellettiva. Credo che questo ti possa far pensare. Il termine obeso è un po’ differente, a mio avviso, perchè l’obesità è una condizione medica che identifica l’eccessivo accumulo di grasso, anche se come dici tu può risultare offensivo per chi si sente chiamare obeso.

Le parole hanno un peso. Un peso ancora più ingombrante se legate ad un’emozione. Un peso insostenibile se legate ad un’emozione negativa.

Ricordo ancora la frase dettami da una signora, all’uscita della farmacia del mio comune, mentre stringevo in braccio una piccola Emma di appena 20 giorni.

Posso vederla? Non avevo mai visto una mongoloide così piccola.

All’epoca rimasi ammutolita, ferita, sgomenta, perchè tutto ciò che la mia mente pescava nell’udire quel termine, era negativo.

Da quel giorno sono passati più di 7 anni.
Sono trascorsi più di 5 anni durante i quali ho curato questo sito settimanalmente, per delineare un’immagine positiva del bambino con sindrome di Down, e della famiglia che ci sta dietro.
Che non nasconde, o classifica, o demotiva, bensì alimenta, crede, sogna con.
E se ancora spendo parole su quelle parole che non mi offendono personalmente, è perchè conosco le innumerevoli capacità di Emma.
Ma è il mio personale sentito.
Non è quello di chi ha appena avuto la diagnosi positiva alla trisomia 21 di una villocentesi o amniocentesi.
Non è quello di chi sta per partorire, e ha una paura tremenda su come andrà.
Non è quello di chi sta ancora facendo i conti con la sindrome di Down vista come una sorta di mostro da combattere.

Perciò caro F., per me le parole hanno un peso enorme, non le uso con leggerezza. E non sto attenta al suo utilizzo per indorare la pillola, ma perchè so bene quali solchi possono lasciare.
Solchi talmente profondi che possono compromettere tanto, a volte troppo, di un destino che francamente non reputo mai già scritto.

Grazie per il tuo prezioso spunto di riflessione.