In questo periodo io e mio marito ci indaghiamo molto su come i nostri figli stanno crescendo, condizionati anche da alcune dinamiche esterne alla famiglia, che ci fanno molto pensare.
Nessun genitore nasce “imparato”.
Non è che alle dimissioni dall’ospedale te ne vai a casa con il pargolo e il kit di istruzioni per il suo crescere.
Cerchi semplicemente di fare del tuo meglio, mostrando, concedendo, negando, supportando.
E gli anni passano.
Il tuo essere genitore prende forma, ti senti più a tuo agio in quel ruolo, sai di essere capace, crei in te personali sicurezze, condizioni imprescindibili, che devono essere presenti anche in tuo figlio, proprio perchè è tuo figlio.
Lo stesso credo, gli stessi valori, gli stessi gusti.
E la tua stabilità che prima era guida diventa eccessiva fermezza, perchè ogni imprevisto che fa uscire da quel tuo pensiero di vita tracciata, crea scompenso.
Ma chi sono io per imporre ciò che io sono ai miei figli?
Per sentirmi delusa se loro non hanno i miei stessi interessi, stessi tempi, stesso modo di agire?

La mia bambina con sindrome di Down

‘Devi portarmi rispetto…’

Quante volte l’ho sentito dire.

La mia bambina con sindrome di Down
Il significato di rispetto è “Sentimento e atteggiamento di riguardo, di stima e di deferenza, devota e spesso affettuosa, verso una persona”. Ma con che tono si sente pronunciare questa frase?
E’ una frase che pone emittente e ascoltatore su due piani: io comando te, tu esegui, o noi non andiamo d’accordo.
Quindi… dove sono il riguardo, la stima, l’affetto proprie del significato di questo termine?

La mia bambina con sindrome di Down

A volte la frustrazione, la disillusione, l’incomprensione, ci feriscono, quasi sconvolgono, perchè nulla sta procedendo secondo i nostri piani.
Ma come si può prevedere come un figlio crescerà?
Io credo che possiamo solo cercare di trasmettere loro parte di noi stessi, attraverso uno specchio che però rimandi la loro immagine, riconoscendola come diversa dalla nostra.
Credo nell’inaspettato, nell’incredibile, nel fare una piccola cosa pazza che non è detto dia un messaggio “da grande farai grandi cose pazze perchè io ti do il cattivo esempio, meglio essere intransigenti” ma piuttosto il messaggio “ti reputo capace di decidere, proprio perchè ti ho permesso di sperimentare“.
C’è una frase del mio corso scolastico che riaffiora spesso:
Malleabilità nella stabilità.
E questo penso sia la base per un felice percorso di vita insieme ai nostri figli.

La mia bambina con sindrome di Down
Nessuno dice che sia semplice.
Penso serva una buona dose di reale e sincera autoanalisi, unita alla sete di sapere, conoscere, leggere, per poter acquisire strumenti utili a guardarsi dentro ed evolvere come persone.
E se l’unica risposta che si trova dentro, rossa, pesante, dolorosa è “Non era questo quello che mi aspettavo” ?
Nessuno dice che sia semplice.
E’ la vita.
E a volte accettare l’imprevisto, l’inaspettato, ci può far compiere grandi passi.
Sta a noi decidere se in avanti o indietro…

La mia bambina con sindrome di Down

Da “Il quaderno Montessori” n. 121, 2014 p. 35

Come “nascere” e “morire”, “volare” e “correre” e molti altri verbi della vita, “crescere” è verbo prezioso, ma oggi dei più strapazzati. “Crescere” significa maturare, diventare adulti.
Si dice “crescere un figlio, un bambino”. Dunque sarebbe l’adulto l’autore e il motore dello sviluppo. Lo si legge su giornali a grande tiratura.
Quale presunzione!
C’è il significato profondo del linguaggio originario che ha reso intransitivo questo CRESCERE.
E’ il bambino, o la bambina, che crescono fin dalla nascita.
Come la margherita o il fungo, la sequoia, il cactus gigantesco o la potente megattera.
Ma cosa hanno in comune esseri viventi tanto diversi tra loro, se non il fatto di crescere dal loro interno, in modo autonomo, sia pure protetti – agli inizi dell’evento biologico – dai semi o dai geniori, quando le leggi della natura li assegnano loro.
Chi cerca di realizzare una pedagogia di qualità, è attento all’uso di parole, ai congiuntivi – forme verbali che esprimono il dubbio, l’incertezza piuttosto che l’affermazione propria degli indicativi – o il senso profondo di altri temi che non hanno la possiblità di scivolare lisci su un complemento oggetto.
Si bloccano, tornano indietro su soggetto e desprimono una reatà grandiosa, quando parlano di vitalità, di un evento che è biologico e insieme psicologico: ogni individuo – embrione fisico o psichico – cresce dal proprio interno con un poderoso apporto di energia, di atomi e molecole – gli stessi che appartengono alle stelle – dal singolo neurone a milioni e milioni di queste cellule cerebrali componenti ogni cervello, direttore d’orchestra di facoltà umana.
Allora andiamoci piano con l’idea di essere noi adulti a “crescere” un figlio o figlia.
Sono loro che si sviluppano: noi possiamo all’esterno solo ostacolarsli o favorirli nel loro cammino.