Fratelli.

Nati a far parte della stessa famiglia. Voluti e desiderati, da noi genitori, per non far crescere solo il primogenito, o semplicemente per poter riprovare quel legame unico che si prova nei primi mesi di vita di un bambino, di dipendenza totale, di legame viscerale. Non sempre un bambino vuole un fratello o una sorella. Se abbastanza grande fa le domande giuste, capisce che il nuovo nato piangerà, dormirà, mangerà… e basta.
Per lungo tempo.
Si sentirà diviso, non più al centro dell’universo famigliare, declassato.
A meno che all’occorrenza non venga definito “bambino grande”, per poter eseguire ciò che i genitori non hanno tempo di fare in quel momento, o per spiegare il perchè di un suo comportamento sbagliato, che ancora non è in grado di capire.

E se il bambino che arriva è ancora più bisognoso di attenzioni? Come superare il senso di colpa, che si aggiunge a quello di aver spodestato il primogenito dall’amore assoluto nei suoi confronti?  Come far capire la diversità, le visite specifiche, gli esercizi particolari.
Come farlo crescere senza l’ansia di “io dovrò accudire dopo che i miei genitori non ci saranno più”?
La risposta non la so. Ancora non la conosco. Come non conosco tante risposte a mie tante domande.

Semplicemente vivo. Con la mia consapevole leggerezza.
Che non è incoscienza ma è voglia di vedere scrivere ai miei bambini il proprio destino. Lasciandomi stupire dall’intrecciarsi dei loro rapporti, dall’essere complici, dal gestire le loro frustrazioni.
Vedendo come si cercano, come si guardano l’un l’altra.

Notando come Emma chiama di continuo suo fratello “Dada”.

Vedendo crescere il loro amore.

Semplicemente. Ogni giorno.

Attraverso i loro occhi trasparenti.