Il Coronavirus ci è piombato addosso.

Così, quasi dal nulla. Ma dal momento in cui è apparso il suo dilagare è stato fulmineo. Incredula ho assistito alle manovre indette per arginare questo coronavirus. I primi contagi in Lombardia, poi nel vicino Veneto. Ora tutta Italia, l’Europa, il mondo. Le ipotesi di chiusura delle scuole, le accortezze anti contagio, le misure di contenimento.

Realtà o paura esagerata?

Io non lavoro come psicomotricista nelle scuole d’Infanzia dal 14 febbraio. Ho preso tra le mani più e più volte la mia agenda, cercando di riprogrammare la fine dei vari percorsi iniziati con i bambini. Pensando che la settimana successiva sarebbe stata quella giusta. Giusta per ritornare a scuola. Sia io, sia i miei figli.

Il dispiacere di non poter rivedere i tanti bambini che accompagno nel percorso del loro gioco spontaneo, è unito al pensiero di non avere più un’entrata mensile. E quando si è liberi professionisti, non è un pensiero leggero. Tasse, contributi volontari, la lunga pausa estiva senza progetti.

Oggi è il 16 marzo, e ancora non vedo una possibile data di ritorno alla normalità.

Ho cercato di riempire questo vuoto incerto con il fare. Gli armadi della lavanderia sono sistemati, i contenuti delle scatole separati ed etichettati. Il garage è finalmente in ordine, sistemato con coerenza. I muri del salotto, soggiorno e cucina ridipinti, pronti per essere decorati con tante pennellate fiorite. Ho acquistato un corso online di fotografia.

Le macro voci della todo list primaverile sono depennate. Perchè ho a disposizione quella cosa tanto preziosa di cui non si dispone quando si lavora.

Il tempo.

sassi di fiume decorati

Ma il mio sentito, il mio sentire interno, come è cambiato?

In questo mese il mio pensiero è passato da “infondata paura generale” a “concreta pandemia“. Non epidemia, ma pandemia, con annessa preoccupazione verso i miei cari. Gli ammalati non sono solo nomi sconosciuti scritti in un post. Sono persone concrete, che hanno un volto, e ora addirittura sono padri di amici.

Io vivo la mia giornata nel mio paesino ai piedi della montagna, in un piccolo paradiso terrestre, per chi ama stare nel verde. Qui si vede ogni giorno che la primavera fa il suo corso. I fiori degli alberi e del giardino germogliano, i rospi hanno deposto le uova nel laghetto, l’aria è sempre più mite.

Panta rei, tutto scorre.

uova di rospo

Eppure fuori di qui, nulla è più come prima.

Ma in questo mese, cosa è mutato nel pensiero dei miei figli?

Per Tommaso, quasi 14 e amante dello stare a casa e sul divano, non molto. Con ironia dice che finalmente non lo trascino in giro, a casa di amici, a fare shopping. Si gestisce con i compiti, suona il basso, calcia il pallone sul muro che confina con il campo spotivo, aiuta in casa il minimo sindacale, gioca e coccola la sua amata sorellina.

Ma per Emma?

Inizialmente per la mia bambina con sindrome di Down questa pausa dalla routine scolastica è stata vista come una vacanza. Immancabile la frase “ma lunedì si torna a scuola?”. Poi le spiegazioni, argomentate con le parole più adatte a lei, hanno trasformato il suo approccio alla giornata trascorsa a casa.

Le giornate non seguono più l’ordine del tempo, concetto acquisito da Emma. Lo stesso vale per i mesi, che a parole non seguono più il susseguirsi delle stagioni. “Torniamo a scuola ad ottobre” e “fra poco compio 11 anni”, quando li ha compiuti da appena trenta giorni. Il mettersi a fare i compiti è complesso, limitare le distrazioni durante il loro svolgimento, complicato. Anche il suo giocare è cambiato. E’ più un passare da un gioco all’altro, senza che ci sia un’azione che trasformi il suo inizio dalla fine. Il sonno è irrequieto, così come il senso della fame, che si presenta ad orari scombinati.

“Dove sono le mie amiche Ambra e Viola? Perchè la piscina e la palestra sono chiuse? Domani posso andare a dormire dalla nonna? Ma basta dirmi di lavare le mani!”

Emma sta vivendo la perdita delle proprie certezze. L’autonomia personale, che ho cercato di nutrire fin dalla sua tenera età, riconoscendola capace di fare ma soprattutto di decidere di essere, sta vacillando.

L’ho osservata in questi giorni, nei quali io stessa ero indaffarata ad aggrapparmi a qualcosa di concreto, e ho trovato una risposta. Per me è stato essenziale sistemare l’esterno, la casa, ben sapendo che è una rappresentazione del mio momentaneo smarrimento interno. Per Emma, è necessario ricreare quella sua routine fatta di orari, di attività scandite, terapie, di relazione vissuta fianco a fianco. Ho provato a chiedere alle maestre a lei dedicate di utilizzare strumenti diversi, che potessero ricreare quel ponte invisibile per lei tanto importante, ora momentaneamente interrotto. Non credo abbiano colto.

Mentre stampo il planner settimanale che le ho creato, guardo fuori. Penso alle grandi decisioni prese per arginare questo male dilagante, ai dubbi, alle ipotesi di cospirazione, alle scelte che ogni cittadino fa ogni giorno, in questi giorni. Penso ai contagiati, soli nei reparti d’ospedale, lontani da occhi familiari. Penso agli abbracci, alle mani che si toccano, allo stare vicino, e a come sarà ogni gesto una volta arrestato questo virus.

blind hug

Guardo fuori e vedo che nel mio giardino una decina di uccellini si sta cibando delle sementi che mio marito Giovanni ha gettato nel prato, per rinfoltirlo. Incuranti del virus. Incuranti che quelle sementi non andrebbero mangiate, visto che agli alberi ho appenso del cibo appositamente per loro.

cinciallegra che mangia

Penso alle significative parole lette in uno scritto, che parla di silenzi, di distanze create ma anche di distanze annullate. Parla di famiglia, di valori ritrovati, di lentezza, di gioia di quanto si ha, di aspettative disilluse, di frustrazione che trasforma.

Panta rei. Tutto scorre. Gli eventi spiacevoli, comprensibili o meno, le situazioni che generano ansia, che ci fanno preoccupare, ma allo stesso modo gli eventi positivi.

Panta rei. Tutto cambia e si trasforma, nulla resta immutato nel tempo.

fiume che scorre